Image default
Attualità Letteratura

LA “SERA” DI SILVIO BERLUSCONI

Cari amici lettori,

oggi devo toccare una tematica molto profonda ma al contempo assai rifuggita: la morte. Per analizzare la correlazione che lega inevitabilmente l’uomo alla sua stessa fine, mi aggancio a quanto accaduto lo scorso 12 giugno 2023: la dipartita del sig. Silvio Berlusconi. Ciò su cui sarebbe giusto orientaste la vostra attenzione è esplicitato già dal sostantivo “sera”, posto nel titolo di quest’articolo. Infatti, volutamente ho sostituito l’espressione “la morte/la dipartita di Silvio Berlusconi” con “la sera di Silvio Berlusconi”. Questa scelta lessicale non è dovuta ad una mia personale ricercatezza linguistica, ma motiva sin da subito il taglio che intendo dare a questo tipo di analisi. Infatti, non mi interessa analizzare Berlusconi in quanto politico, imprenditore, padre o altro, ma mi interessa analizzare il fatto (morte) Berlusconi esclusivamente da un punto di vista culturale, antropologico, dal quel punto di vista cioè che accomuna tutti gli individui e che sostanzia ogni nostra singola esistenza. Se ci pensiamo bene, difatti, è così: non tutti siamo politici o economisti, non tutti possediamo grosse aziende o squadre di calcio, non tutti fatturiamo milioni all’anno, ma tutti siamo invece toccati dalla stessa sorte. È la morte, o meglio la “sera”, che ci accomuna e ci fa sentire compartecipi di una dimensione condivisa, nostro malgrado. Dunque, l’analisi che seguirà si allontana da un’afferenza prettamente di cronaca e si struttura invece attraverso un impianto investigativo di tipo antropologico. Ciò posto, il termine “sera” aiuta sicuramente ad entrare con più profondità nell’intimo della tematica, nell’ontologia noumenica appunto del fatto (morte) Berlusconi. Fatto, quello della “sera”, che però riguarda tutti noi e che tutti noi siamo chiamati a vivere. Si intuisce assai facilmente che il sostantivo “sera” evochi alcuni versi di Ugo Foscolo, il quale preferiva nobilitare l’enigmatica esperienza della morte con l’appellativo assai gentile di “sera”. La “sera” per Foscolo era il premio dopo una lunga giornata di lavoro ed era il momento in cui l’uomo poteva tirare le somme di quanto fatto. Ovviamente, si tratta di un linguaggio allegorico, che intende sostituire la oscura realtà della morte con il termine “sera” e la splendente realtà della vita con il termine “giorno”. Tutto il pensiero foscoliano sottolinea il fatto che qualsiasi uomo non potrà mai sottrarsi alla propria “sera”, prossima o tarda che sia. Ecco, dunque, che la “sera” ci viene dal poeta proposta essere “l’imago della fatal quiete”, cioè immagine, allusione, evocazione della morte. La “sera”, in senso lato, è anche l’assenza di quell’energia vitale con cui controbattere alle avversità costanti della vita. Parafrasando i versi del Foscolo, Silvio Berlusconi ha incontrato la propria “sera” (morte), dopo aver lavorato una giornata intera (vita). Per Foscolo, così, la morte non può che acquistare i caratteri di una realtà sacra, dal momento che la tomba divenga fattivamente l’unico autentico strumento docimologico attraverso cui poter vagliare le condotte agite da un individuo quando questi era ancora in vita. La tomba insomma detiene una funzione morale, una valenza etica. Non possiamo dire che una persona sia stata buona o malvagia fintanto che questa non raggiunga il luogo della propria sepoltura. Alla tomba è sostanzialmente affidato l’arduo compito di riconoscere i meriti e le colpe di un individuo. Infatti, chi può pensare che ci sia qualcuno che pianga e si addolori per la morte di un uomo malvagio e spietato? In verità, nella storia un’eccezione (forse non l’unica) c’è stata. Mi riferisco alla figura di Erode il Grande detto Ascalonita il quale, sapendo di essere dalle sue genti odiato, ordinò che dopo la propria morte fossero uccisi alcuni uomini innocenti, assicurandosi così almeno le lacrime di quei familiari sventurati. Detto questo, come possiamo ritenere Silvio Berlusconi? Una persona che abbia fatto del bene o una persona il cui ricordo è bene rimuovere, giacché abbia causato più mali che vantaggi? A questa domanda non si può rispondere in modo univoco nel hic et nunc, ma sarà il tempo (cioè gli eventi) a dare la miglior risposta. Resta comunque da sottolineare che di fronte a quanto accaduto, cioè appunto la “sera” di Berlusconi, ci sia gente che in questo momento pianga e che si dispiaccia, e gente invece che provi disprezzo, livore, contrarietà.

Non è facile, dunque, tirare sin da subito le giuste somme. La “sera” di Berlusconi, essendo questi un personaggio assai noto, ci consente di muovere un’ulteriore riflessione. È vero che la “sera” di un uomo cagioni la sua stessa fine esistenziale, ma è altrettanto vero che quella “sera” non riesca a neutralizzare gli intenti, gli interessi, le azioni, le operazioni di quell’uomo. Difatti, le proiezioni volitive dell’essere umano, più dell’uomo stesso, sono inspiegabilmente resistenti al carattere censorio del tempo, per cui assistiamo alla morte della persona ed alla sopravvivenza delle sue stesse opere, buone o malvagie, le quali invece seguono un decorso diverso. Le ricadute fattuali, operative di Silvio Berlusconi, come le nostre del resto, continueranno ad esistere anche dopo la sua “sera”. Questa riflessione, dunque, ci porta a misurare con coscienza le condotte che in vita decidiamo di agire, dal momento che una loro eventuale bontà o malvagità non cesserà insieme alla nostra fine esistenziale (sera/morte), ma influenzerà i nostri figli, i nostri nipoti e tutte le generazioni a seguire. L’uomo deve interiorizzare il fatto che sia più intelligente ponderare le proprie condotte verso il bene, verso la benevolenza, la cortesia, il perdono, l’altruismo. Ecco il motivo per cui Foscolo avesse inteso attribuire al poeta il carattere di vate, ossia quel carattere speciale con cui fronteggiare la corruzione inferta dall’incessante avanzare di Κρόνος (Crono). Il poeta può essere vate non già di per se stesso, ma grazie all’ausilio metafisico della poesia, la quale trascende le categorie spazio-temporali. Mutatis mutandis, la potenziale ontologia di vate è in ognuno di noi, più precisamente nella nostra volontà, nelle nostre condotte, nelle nostre scelte, nelle nostre motivazioni, in quelle dimensioni cioè che permettono di vederci fuori dal tempo, imperituri. Dunque, come approcciarsi all’esperienza della morte? Berlusconi come si è posto di fronte all’enigmatica realtà tanatologica? E noi come ci rapporteremo? È giusto avere paura della morte? Ancora una volta, prendo in prestito i versi del Foscolo il quale, in Dei sepolcri ai vv. 41-42 scrive: “Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioja ha dell’urna”, ovvero “soltanto chi (dopo la sua morte) non lascia alcun amore o rimpianto non può trovare consolazione all’idea della tomba”. La morte, ci insegna Foscolo, fa paura soltanto a chi ha seminato il male, a chi cioè non ha coltivato affetti e ha preferito agire un comportamento cinico, egoistico, disinteressato dell’Altro. Il mio invito finale è questo: aneliamo al bene, perché quel bene (ma come anche il male purtroppo) sarà potenzialmente il ricordo (vate) che i posteri avranno di noi. Sappiate, in ultimissimo, che la formulazione di questo mio augurio non è atipica. Difatti, nella storia c’è stato qualcuno (il sovrano Tolomeo III) che abbia così tanto cercato di interiorizzare l’idea di fare del bene da farsi definire Evergete, termine greco che tradotto appunto significa “colui che fa il bene, benefattore”.

Ti potrebbero interessare:

PERCHÉ DANTE È IL SOMMO POETA?

Andrea di Napoli

SÌ PATRIARCATO, no satana. Femminicidio: pura invenzione.

Andrea di Napoli

Perché “NON ABBANDONARCI ALLA TENTAZIONE” è errato

Andrea di Napoli