Cari amici lettori,
oggi avverto l’esigenza di chiarire due tematiche, la cui comprensione ritengo essere il requisito fondamentale attraverso cui potersi rapportare consapevolmente all’Altro. Nella fattispecie, mi riferisco al concetto di Sé sociale ed all’entità di relazione sociale. Confrontandosi con gli altri, ed ampliando costantemente il proprio orizzonte relazionale e sociale, l’essere umano impara a conoscere il proprio Sé, inteso come quella istanza capace di orientare il suo comportamento ed il suo atteggiamento. Il primo a parlare di consapevolezza del Sé è stato W. James (1), alla fine del secolo scorso. James riteneva che l’essere umano fosse strutturato in due parti strettamente connesse, l’Io ed il Me. L’Io è da intendersi la parte consapevole, che riflette sul mondo e su se stessa; il Me è la parte che l’Io conosce del Sé. James, inoltre, propone un’ulteriore suddivisione del Sé: il Sé materiale – la parte cinestetica del soggetto -, il Sé sociale – la parte del soggetto che si relaziona con gli altri e con il mondo – ed il Sé spirituale – la parte maggiormente autoriflessiva del Sé -.
Nel 1934 G.H. Mead (2) elabora la teoria dell’interazionismo simbolico, secondo la quale il Sé non sarebbe presente fin dalla nascita, poiché richiede che l’individuo possieda la capacità di produrre e rispondere agli stimoli, e di assumere gli atteggiamenti degli altri. L’idea di Sé di Mead si allontana da quella di James dal momento che non si riduce alla dimensione psico-corporea, ma ipotizza un processo di formazione propriamente sociale. Il Sé di Mead non ha alcuna dimensione aprioristica, in quanto si genera proprio dal venire incontro a quelle esigenze dell’essere umano, che nascono naturalmente dalle sue interazioni con il mondo e con gli altri. Questa nuova impostazione struttura il concetto di identità, ovvero quella dimensione eterodiretta che intersoggettivizza il Sé riflessivo nelle sue interazioni in società. A tal proposito, Bruner afferma che il Sé sociale – identità – si costruisca proprio grazie allo stretto legame tra individuo e contesto “la nozione di Sé non nasce, nel bambino, da un’esperienza interna, relativamente indipendente dal mondo sociale, ma da un’esperienza maturata in un mondo di significati, di immagini e di rapporti sociali, in cui ognuno si trova inevitabilmente coinvolto (3)”. Lo studioso Henry Tajfel ha dimostrato, oltremodo, che la costruzione dell’identità sociale di un individuo sia da collegare alla sua appartenenza gruppale. Difatti, nel suo libro Gruppi umani e categorie sociali, Tajfel sostiene che è proprio grazie all’appartenenza ad uno o più gruppi che gli individui sviluppino la prima forma d’identità. Ed è grazie a questo senso di appartenenza, a questo ‘sentirsi parte’ che il gruppo ha una propria delimitazione semantica “un gruppo esiste quando due o più individui si definiscono come membri della medesima categoria sociale(4). Dunque, adesso risulta più chiaro il fatto che gli individui occupino un preciso spazio di vita sociale e tendano a stabilire tra di loro una serie di relazioni. Relazioni, appunto, che la psicologia sociale è chiamata a studiare. Alla fine degli anni Cinquanta, John Thibaut e Harold Kelley formalizzano la Teoria dell’interdipendenza (5), secondo la quale – sfruttando gli assunti lewiniani della strutturazione del campo – non è prioritaria la singolarità dei soggetti che intrattengono le relazioni, bensì l’interdipendenza che tra questi si viene a creare. Proprio in virtù di tale interdipendenza, la psicologia sociale deve cercare di individuare quelle regolarità che possano consentire di definire, in modo causale, lo svolgersi delle interazioni. Thibaut e Kelley, a tal proposito, evidenziano alcuni fattori da tenere presenti nello studio delle relazioni: le differenze e le similitudini negli atteggiamenti di tutti i soggetti coinvolti; i fatti che si susseguono all’interno della relazione, modificandone costantemente il contesto e la struttura; la dimensione diacronica delle relazioni stesse; le caratteristiche dell’ambiente fisico e le caratteristiche dell’ambiente sociale. Questi parametri consentono di definire quali siano le relazioni significative tra tutte quelle intrattenute dal soggetto – difatti, non tutte le relazioni hanno lo stesso peso emotivo/cognitivo -. Secondo gli studi di Thibaut e Kelley, le relazioni maggiormente significative sono quelle dotate di una forte interdipendenza tra i soggetti coinvolti. Ovviamente, esistono alcuni fattori che favoriscono l’insorgere di interazione significative:
1 JAMES, W. (1890). The principles of psychology, Mass., Harward University Press, Cambridge. Trad. it. Principi di psicologia, Società editrice libraria, Milano, 1901.
2 MEAD, G.H. (1934). Mind, self and society, University Press, Chicago. Trad. it.: Mente, sé e società, Giunti, Firenze, 1966.
3 BRUNER, J.S. (1990). Acts of meaning, Harvard University Press, Cambridge. Trad. it.: La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino, 1992,53.
4 TAJFEL, H. (1981). Human groups & social categories: studies in social psychology, Harvard University Press, Cambridge
5 THIBAUT, J. & KELLEY, H. (1959). The social psychology of groups, John Wiley & Sons, New York.