Nei Licei e nelle Università si studia che la democrazia sia la forma di stato naturalmente più avanzata tra tutte le varie forme e che, per via di questa sua qual certa apodittica specialità – apodittica nella teoria, perché le deduzioni sul piano pratico sono di natura evidentemente altra -, sia da considerarsi l’unica e suprema conquista storicamente ben riuscita.
Una convinzione così autoreferenziale, elevata invero a “dogma” da una storiografia allineata che ha saputo, nel tempo, architettare un modello democratico assai subdolo, ha di fatto partorito una democrazia schizofrenica, contraddittoria, ambigua. Infatti, proprio chi – strumentalmente – osanna e propaganda la democrazia agisce poi però condotte ad essa antitetiche, e cioè prepotenti, tiranniche, aggressive, arrivando a strappare dal consorzio civile chiunque abbia un’opinione divergente dal quell’intoccabile mainstream.
Mainstream che, con una sfacciataggine ed un’insolenza riprovevoli, si auto-acclama essere il più autentico garante di quella democrazia solidale e tollerante, verso cui tutti gli Stati nazionali stanno, loro malgrado, convergendo. L’inganno capzioso che il potere dominante cela dietro un’apparente ristrutturazione dell’intero impianto democratico è quello di cercare di confondere le coscienze degli individui, le quali, se non ben formate, rischiano di lasciarsi eteronomicamente sedurre dal quel “canto” che purtroppo non è paterno o loro salutare, ma nocivo e deindividualizzante.
La democrazia, in verità, è quella forma di stato che, più di ogni altra, – se non ben gestita ed amministrata – permette alla menzogna di espandersi facilmente e rapidamente. Difatti, il pensiero oggi imperante – che, però, non può essere un pensiero autenticamente inteso, essendo volto sostanzialmente al solo indebolimento identitario – collega sinallagmaticamente il concetto di democrazia a quello assai moderno di inclusività, e sfrutta questo canale parenetico, oramai del tutto ideologizzato e inspiegabilmente lontano dalla realtà, per veicolare infidamente l’inganno.
Oggigiorno fallacemente si crede che l’inclusività sia la prova provata di una democrazia efficiente e funzionante. L’inclusivismo – lasciano intendere i lor signori – completa e perfeziona quel concetto stesso di democrazia, che vano sarebbe se non fosse arricchito di questa nuova e fuorviante “politica”, studiata e contestualizzata però ad hoc. L’esigenza prima dei governi mondiali – o di un più o meno neonato governo/ordine mondiale – si manifesta nel tentativo di omogenizzare, amalgamare, meticciare, orizzontalizzare delle realtà che, invece, di per se stesse godono di una strutturazione differente, ovvero incline ad una sana conservazione gerarchica.
Il mainstream odierno si articola manifestamente su quelle inconsistenti deduzioni hegeliane, secondo le quali la Verità (tesi) e la menzogna (antitesi) possono e devono necessariamente coesistere, arrivando a fondersi in quella sintesi liquida che, geneticamente, nulla purtroppo dice di quel corredo trasmissivo-valoriale intrinseco univocamente alla sola Tesi stessa – l’antitesi, cioè il non-essere, non appunto essendo non può che trasmettere il nulla -.
Non a caso, Zygmunt Bauman si è espresso in termini di “società liquida”. Una società cioè che, in virtù di un inclusivismo fuori luogo, di una sostenibilità ambigua, di un sincretismo ingannevole ed impossibile, di una modernità sfrenata e, in virtù di quel relativismo pretestuosamente manipolato, smarrisce di fatto la propria identità, la propria storia, le proprie tradizioni, la propria appartenenza, le proprie autentiche specialità, finendo unilateralmente con il banalizzarsi e l’imbastardirsi[1].
La democrazia può essere pensata una forma di stato autenticamente conveniente se, chi abbia il compito di sostanziarla nei contesti reali d’uso, decida di rispettare quei rimandi naturalmente normativi ed accetti di non invertire quel trascendente ordine gerarchico che regola tutti i fenomeni. La democrazia non può essere asservita a quel processo strumentalizzante, purtroppo già collaudato, secondo cui “democratico” significhi oltremodo “aperto, disponibile”, e quindi “prostrato, prostituito” addirittura a ciò che di fatto logora – il logorìo è proprio dell’inganno – l’individuo nella sua totalità – animus et corpus -.
La vera democrazia è quella che è audacemente capace, per il solo autentico bene del suo stesso demos, di valorizzare e promuovere la Verità, e di stigmatizzare e neutralizzare l’errore. L’errore non può mai essere accettato, neppure in virtù di un rimando apparentemente filantropico, come quello che tendenziosamente i lor signori insinuano nel concetto oramai inflazionato di democrazia. Una democrazia liquida – ovvero una democrazia dove si pretenda che Verità ed errore coesistano viziosamente – non può essere nemmeno intesa come democrazia perché, accettando passivamente di subire una nefanda liquefazione di quei valori tradizional-identitari, provocata appunto da quell’imprepensabile coesistente commistione Bonum/malum, si perde contestualmente l’operazionalizzazione del concetto stesso di demos – popolo -.
Qualsiasi popolo, per poter naturalmente essere definito tale, necessita di una connotazione identitaria precisa, definita, chiara, nitida; non certo di quell’ibrida e bastarda ambiguità, propagandata evidentemente attraverso il sulfureo attributo “liquida”, che nulla conserva di identitario, ma che piuttosto collabora per una precisa depersonalizzazione generalizzata. Ma perché liquido? Perché tutto ciò che è liquido, viscido, liquefatto, volutamente sfugge a quelle categorie ermeneutiche classiche di sempre che, invece, hanno il dovere metatemporale di dare ordine, compostezza e chiarezza a tutto ciò che fenomenicamente – e non solo – accade.
Già lo storiografo greco Polibio – 200 a.C. -, nella sua teoria dell’ἀνακύκλωσις[2], aveva estrinsecato la necessità di dover saper ben gestire quelle tre forme di governo primarie – monarchia, aristocrazia, democrazia – perché, una mala gestio delle stesse avrebbe cagionato – e cagionerebbe – una deiezione del gubernaculum medesimo ed una contestuale degenerazione di quelle tre stesse forme primarie, le quali si sarebbero così rispettivamente corrotte in tirannide, oligarchia e oclocrazia.
Dunque, chi scrive ci tiene ad esplicitare che la propria posizione concordi con il pensiero polibiano, e chi scrive allo stesso tempo ritiene che la democrazia possa essere una forma di stato valida se, appunto, non si consenta – nei limiti del possibile – che la stessa degeneri nella sua rispettiva degradazione. Perché la democrazia sia bella, sana, limpida e producente occorre che la stessa conservi la propria estetica originaria, rigettando, di fatto, qualsiasi estrinseco tentativo di ritocco, di manipolazione, alterazione, contraffazione, strumentalizzazione.
La democrazia, se chi la rivendica intende davvero osservarla, deve necessariamente essere agganciata a valori, e non a mode o costumi passeggeri. L’uomo contemporaneo – che si vanta assai frequentemente del proprio avanguardismo meta-personalistico “übermensch”, dovrebbe fare – perché pare che ne abbia tutti gli strumenti ermeneutico-docimologici – un passo avanti rispetto a quell’impostazione polibiana ed interiorizzare l’idea che, contrastare preventivamente una potenziale degenerazione di una precisa forma di governo/stato – sebbene naturalmente inevitabile – sia manifestazione di un intelligente ed autentico progresso.
Il mainstream odierno pretende coercitivamente di controllare, e dunque alterare, ciò[3] che naturalmente non merita un controllo estrinseco, ed obbedientemente invece sorvola – per dei diktat che di fatto trascendono quello stesso mainstream – su chi è deputato a rimanere nell’ombra e, da lì, muovere le fila.
Da queste premesse razionalmente ed antropologicamente dedotte, si comprende che la crisi lato sensu della democrazia – cioè la crisi della democrazia politicamente intesa – sia solamente l’effetto manifesto di una causa però altra e più intima; nella fattispecie, di quella crisi stricto sensu valoriale che di fatto annichilisce e deindividualizza la realtà stessa di demos – popolo -.
La deiezione democratica a cui oggi si assiste è una caduta – crisi – propriamente di ordine identitario, valoriale, personale, etico; è uno spaesamento, dunque, che colpisce in primis la coscienza, lo spirito di popolo e solo successivamente le relative estrinsecazioni sul piano pratico – politica, economia -. A tal riguardo, possiamo a posteriori affermare che lo storiografo greco Polibio avesse sostanziato delle intuizioni ermeneutiche più che valide ed appropriate – quanto ad avvicendamento di forme di governo/stato -.
Oggigiorno si avverte realmente fatica ad esprimersi in termini di popolo – democrazia -; per cui, difatti, appare più pertinente quello stesso lessico polibiano secondo cui, allorquando una democrazia perda quella propria specifica teleologia identitaria, sarebbe inequivocabilmente da definirsi una oclocrazia. Il concetto di oclocrazia sostanzia, dunque, il non-popolo, ossia un popolo che, svuotato dei suoi stessi caratteri identitari, valoriali, naturali, degenera impropriamente nella sua rispettiva degradazione: la massa. La massa altro evidentemente non è che un popolo incapace di riflettere su se stesso, perché mancante purtroppo di quegli elementi strutturanti una sua sana identità autocoscienziosa.
La prova più evidente – o meglio, inconfutabile – di quanto qui riportato, la si coglie in ciò che è accaduto durante la p[seudo[4]]andemia da Covid-19. Durante questo fenomeno, in Italia – ma non solo -, l’assai democratico governo centrale ha provveduto indiscriminatamente a rendere obbligatori i vaccini anti Covid-19, ostracizzando e stigmatizzando tutti colori i quali che, per motivi eterogenei – salute, idee, confessione o altro -, non potevano o volevano riceverlo. L’imposizione di tale obbligatorietà vaccinale, e quindi, il patimento di tutti quei ricatti – ibernazione delle libertà personali, perdita di lavoro, pubblico ludibrio – perpetrati a danno soltanto di chi non si fosse lasciato eteronomicamente deindividualizzare da un’autorità peraltro moralmente discutibile, hanno deteriorato, nella coscienza di quei pochi cittadini ancora innamorati della propria identità, l’idea di democrazia.
Sappiamo con certezza – grazie anche ad un’informazione validamente alternativa che resiste all’impostura mediatica del mainstream – che oggi non siano neppure i singoli Stati nazionali ad amministrare il governo del loro stesso Paese, ma delle oligarchie – famiglie – che intendono controllare monocraticamente il mondo intero ed i suoi abitanti. La tracotanza di codeste famiglie è tale per cui lo stesso avvicendamento delle varie legislature nazionali potrebbe assai probabilmente procedere attraverso un meccanismo di designazione estrinsecamente deontico, e non plebiscitario.
Ma come tutto ciò può succedere? Accade perché l’Italia – forse più di ogni altro Paese – ha smarrito la propria ratio essendi, ha tradito le proprie tradizioni, ha imbastardito la propria identità, ha prostituito la propria dignità. Motivo per il quale, stoltamente – l’Italia, ma non tutti gli italiani – crede che, se vuole oggi sopravvivere, debba sottomettersi a idoli che si chiamano Stati Uniti d’America, Europa, multinazionali, massoneria.
Se davvero dovesse così essere, staremmo assistendo alla crisi epocale della democrazia, e contestualmente, alla sopraffazione di un’oclocrazia plutocraticamente oligarchica. Ma abbiamo certezza che il male abbia le ore contate e che il Bene alla fine trionferà.
Intanto, il nostro personale impegno sia quello di fare tabula rasa di questi idoli, attendendo con fiducia quella Restaurazione promessaci.
[1] Quanto qui riportato corrisponde alle segrete operazioni, rese manifeste nel piano Kalergi.
[2] Dal greco, anaciclosi. Si intende la ciclicità delle forme di governo che, degenerandosi nel tempo, sono destinate a succedersi l’una all’altra, secondo un processo naturale ed inevitabile.
[3] La sfera privata, personale, identitaria, valoriale.
[4] Ci sono diverse teorie [tra cui quella del malthusianesimo] che sostanziano una manifesta volontà nel diminuire intenzionalmente la popolazione mondiale. Tale diabolica finalità la si può estrinsecare anche con delle vere e proprie pandemie artificiali, studiate appunto “a tavolino”.