Cari lettori,
oggi intendo analizzare la definizione teoretica che di musica danno le attuali scienze pedagogiche. La Musica, prima ancora di essere una realtà sonora, è anzitutto un concetto, cioè una rappresentazione mentale ed astratta che noi associamo ad una dimensione fenomenica (cioè, relativa al mondo estensivo). Secondo Berlioz “la musica è l’arte di commuovere mediante i suoni esseri dotati di un’organizzazione speciale”. Per Molino invece “La musica consiste nel sonoro prodotto e organizzato da una cultura. Tale sonoro è portatore di connotazioni semantiche ed affettive, ma la sua sintassi non è organizzata, come nel linguaggio, a livello di unità legate a significati lessicali, bensì a livello di unità minimali e discrete, che vengono chiamate ordinariamente note, e più tecnicamente unità di scala oppure, nel caso specifico delle musiche elettroacustiche, oggetti sonori”. L’istruzione musicale si scinde in due grandi orientamenti, che non tendono alla medesima teleologia. Il primo, il più immediato da categorizzare, è quello che viene seguito nelle scuole di musica. Si tratta di un insegnamento specializzato, che sviluppa delle competenze tecniche, quali leggere una partitura o suonare uno strumento, legate a pratiche specifiche e ad un repertorio particolare, generalmente la musica tonale degli ultimi tre secoli. Ma, accanto a questo settore educativo, se ne sta sviluppando progressivamente un altro, rivolto alla scuola di base pur non passando attraverso un apprendimento mirato e tecnico. Il concetto di musica può essere pensato a due livelli: come categoria di oggetti sonori; e come categoria di pratiche sociali. Gli oggetti sonori sono i prodotti sonori dell’attività considerata musicale, e lo studio comparativo a questo livello si sostanzia nello stabilire se questi prodotti abbiano in comune degli elementi strutturali, come le scale, i ritmi, ecc. Le pratiche sociali consistono in persone, azioni e suoni e, più precisamente, si strutturano, per l’appunto, intorno a quelle persone che compiono delle azioni rispetto a dei suoni. Dunque, lo studio non si limita più agli oggetti sonori, ma include le azioni che questi oggettivano. In un paragrafo sugli universali della struttura musicale, Sloboda esamina il problema delle scale, e nota che “sono moltissime le culture in cui si riscontra, in teoria e in pratica, la concezione secondo cui la musica ha luogo rispetto a delle altezze di riferimento prefissate […] sembra che la suddivisione delle scale in gradi segua dei principi comuni alla maggior parte delle culture[1]”. A tal riguardo, Nattiez afferma che “se la musica appare veramente come un fatto universale, esistono senza dubbio degli universali in musica, ma bisogna cercarli, piuttosto che a livello delle strutture immanenti, sul versante delle strategie poietiche ed estesiche, vale a dire dei processi[2]”.
[1] Sloboda, J. (1988), La mente musicale. Psicologia cognitivista della musica, 387-388.
[2] Nattiez, J.J. (1989), Musicologia generale e semiologia, 53.